Il Prof Vito Di Bello non era il tipico cattedratico, era un professore “blues”, come quella musica che amava, definizione che sono certo lui apprezzerebbe.
Eppure, a leggere il suo curriculum, si rimane impressionati. Una vita dedicata alla ricerca scientifica testimoniata non solo dal numero delle sue centinaia pubblicazioni ma anche dall’altissimo livello di ogni suo lavoro.
Chi ha avuto la fortuna di lavorare con lui, trascorrendo ore a ragionare sui dati, puo’ raccontare la luce che si accendeva nei suoi occhi quando, oltre ai freddi numeri, riusciva a scorgere un significato che andava oltre alla mera speculazione scientifica, con impatto sulla clinica , perchè era prima di tutto un medico, un cardiologo che riusciva davvero a coniugare il dato scientifico con una informazione dalla parte del malato.
Potrei raccontare il modo gioioso con cui affrontava lo studio, la ricerca, la curiosità ma anche il divertimento, il porgere il cinque quando un test statistico confermava una intuizione che lui riconosceva sempre prima di tutti, frutto di un intuito e di una capacità di vedere oltre.
L’ho conosciuto quando, inserito in uno dei primi SO Ricerca, ci trovammo ad esaminare quell’enorme mole di dati dello studio DAVES insieme al Prof. Carerj, a Francesco Antonini Canterin ed a Giovanni Di Salvo. Cosa poteva esserci in teoria di piu’ noioso che chiudersi per tre giorni in un eremo lontani dal mondo a ragionare su freddi numeri? Ed invece, grazie al suo modo gioioso di affrontare la ricerca da vivere come un gioco, il tempo passava senza rendercene conto. Non c’è dubbio che era lui a dare un colore particolare a quelle fredde riunioni tanto che diveniva naturale volerle ripetere al di la’ degli indubbi risultati scientifici. L’attività scientifica diventava un pretesto per il piacere di stare insieme.
Nonostante il suo valore scientifico era, pero’, un uomo dai molteplici interessi. Il suo amore per la musica, per il blues, per la chitarra elettrica si estendeva cosi’ anche in queste riunioni motivo per cui era per me un obbligo portare due chitarre al seguito e la sera, alla fine di una giornata di lavoro o di un convegno, non mancavano delle improvvisate jam sessions. Eppure trattava la musica, l’amore per la buona cucina, la convivialità allo stesso modo con cui affrontava la scrittura di un lavoro scientifico (“the pen”…quando citava uno dei suoi maestri). Poi ti capitava di vederlo il giorno dopo in una sessione scientifica di un convegno a presentare le sue relazioni di altissimo livello culturale con una chiarezza espositiva che ti illuminava su temi apparentemente freddi e difficili. Aveva la capacità di sintetizzare senza perdere nessun aspetto su qualsiasi tema. Ma sarebbe stato lo stesso se fosse stato indotto a comunicare non solo su medicina , cardiologia ed ecocardiografia, ma anche su musica, viaggi, culture.
La sua voce calda, con quel misto di pugliese-toscano, era assolutamente affascinante. Pronto alla battuta anche nelle situazioni piu’ critiche , ma aveva anche degli occhi che parlavano e che ti inducevano a sorridere prima ancora di sentirlo.
IL suo modo di essere diventava una calamita per i piu’ giovani e non a caso ha saputo creare un gruppo a cui riusciva a trasmettere l’entusiasmo del lavoro vissuto sempre gioiosamente.
Era davvero un professore blues, lontano anni luce dall’immagine di un cattedratico freddo ed istituzionale. Ma era anche blues nel significato piu’ antico di questo termine, di una malinconia di fondo che ogni tanto traspariva in maniera discreta, derivata, forse, anche dalla consapevolezza della relatività del successo, della carriera di fronte alla complessità della vita ed alla sua fugacità.
Eppure, nonostante la consapevolezza di quello che stava per accadergli, fino all’ultimo non ha mai smesso di trasmettere la gioia e l’entusiasmo nel lavoro e nello spirito di gruppo.
Ci mancherà.
A noi che abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo spetta il compito di continuare con il suo stesso spirito, fatto di gioiosità nel lavoro, nell’amicizia.
Ciao Vito.
Salvatore La Carrubba